giovedì 29 novembre 2012

DE-scrivere il patriarcato: il mito della passività




La tematica della violenza contro le donne, che si tratti di stupro o di femminicidio, contiene in sé stessa il concetto di “vittima/carnefice”. Binomio classico dal punto di vista psicologico: dove c’è vittima c’è carnefice, e dove c’è carnefice, c’è vittima. Il gioco delle parti è conosciuto e chiaro. La povera, debole, indifesa donna che soccombe di fronte alla cieca violenza del carnefice, impersonificato da colui che avrebbe dovuto “difenderla” e “accudirla”.

Cerchiamo di analizzare questo rapporto, dal punto di vista psicologico, per capirne le implicazioni, e per tentare di trarne indicazioni utili al suo superamento.


La donna, nella società patriarcale, è vittima designata. Non ha diritti, perché non ha autonomia. Non ha autonomia, perché non possiede indipendenza economica e psicologica. Madre e moglie, questo deve essere, e SOLO in nome di questo, può, eventualmente, richiedere il rispetto. E, al massimo, può chiedere di essere “accudita”, “difesa”. Come persona non se ne parla, infatti la società patriarcale non prevede per la donna lo status di “persona”, al massimo di madre, rispettabile come tale, e moglie, un po’ meno rispettabile, poi c’è sempre l’alternativa della “puttana” ossia di quella che non è né madre né moglie, quella non ha diritto al rispetto.

Proviamo a ribaltare il concetto: la donna ha diritto al rispetto in quanto PERSONA,  persona con una sua propria individualità, un suo progetto di vita, una realtà personale che richiede il rispetto a prescindere. 

Questo fa paura. Il patriarcato non l’accetta, la donna non è persona, è moglie, e deve essere rispettata in quanto tale, è madre, e deve essere rispettata in quanto tale, ma non è PERSONA e in quanto tale non deve essere rispettata, per cui, se una donna non rispetta il suo ruolo, e pretende di essere persona, può, anzi deve essere violata, violentata, picchiata, uccisa
.
La donna non è passiva, è soggetto attivo della propria vita e della società. La donna non è specie protetta come i panda del wwf.

La donna è persona, è soggetto sociale e politico, e la violenza contro di lei è VIOLENZA POLITICA contro la sua individualità di persona.
Il patriarcato ha la capacità di inglobare e vanificare, attraverso la mistificazione, ogni legittima aspirazione delle donne. La donna come vittima, e l’autoidentificazione delle donne stesse come vittime, fa il gioco del patriarcato.
Siamo noi stesse a doverci allontanare dal concetto di noi stesse come vittime, come “anello debole” della società, e a reclamare il rispetto che ci è dovuto come persone.

Porre l'accento sul concetto di persona e non di vittima, consente di smascherare ed impedire tutte quelle politiche securitarie, sessiste e razziste, poste in essere in questi anni, dagli enti ed organismi statali (ronde, bus rosa, ecc..). 
Politiche pubbliche che, ancora una volta, delegittimano e squalificano le donne, le rinchiudono nel cerchio vizioso di esseri vulnerabili, di fatto, continuando a inferiorizzarle, discriminarle a svalutarle come soggetti e come cittadine. Inoltre, la violenza fisica, il femminicidio sono le forme più estreme della violenza di genere che subiscono le donne in casa, sul lavoro, in tutti gli ambiti e settori della loro vita quotidiana. La struttura patriarcale e capitalista con le sue politiche dei tagli alle risorse, privatizzazioni dei servizi pubblici, flessibilità del mercato del lavoro, leggi razziste sull'immigrazione, intensifica la marginalizzazione delle donne creando e/o mantenendo una dipendenza economica e sociale, impedendo di liberarsi da situazioni di grave conflittualità relazionale. Essere riconosciute persone ci fa soggetti di diritti e non esseri vulnerabili, bisognose di tutori. Per questo contro il binomio carnefice-vittima diciamo basta ad un sistema che si fonda sulla diseguaglianza, sulla discriminazione, sullo sfruttamento; diciamo basta ad un maschilismo protezionista, che perpetua la violenza contro le donne, che sostenta le strutture sociali androcentriche. 
Noi donne non vogliamo più sbarre protettive che servono per il controllo dei nostri corpi e per il dominio patriarcale-capitalista.

La violenza contro la donna nasce dalla paura della liberazione della donna. 


Ma è dalla liberazione dal bisogno, dai mandati e privilegi patriarcali, dall'amore per noi stesse, che possiamo porre fine alle discriminazioni, alla violenza e all'odio di genere.
Il dualismo “vittima – carnefice” è un rapporto a doppia via: la vittima si fa vittima e lascia spazio al carnefice, il carnefice approfitta e accontenta la vittima. Basta con questa mistificazione.
Il rapporto vittima carnefice si basa sul senso di colpa della vittima, che, se è vittima, in fondo è colpa sua.
Già, perché la “vittima” è tale in quanto non accetta il suo destino, perché cerca di autodeterminare la sua vita, perché rifiuta, perché dice NO.
Non è certo un caso che la stragrande maggioranza dei femminicidi avvenga nella coppia, e che la violenza venga scatenata dal rifiuto della donna di continuare la relazione. La donna che fa una scelta di indipendenza, che rifiuta la “protezione”, che si ribella al possesso, deve pagare con la vita.
E’ la liberazione che fa scatenare la bestiale reazione del patriarcato,  che non permette deroghe alla sua sopraffazione.
Ma è il ricatto psicologico alla base di tutto, ed esso comincia molto prima che si consumi la violenza vera e propria. Comincia con l’idea che la donna, in nome di un “amore” che assomiglia più al bisogno che alla libertà, debba “sacrificarsi” per “meritare” tale “amore”.
L’”angelo del focolare” subisce ed è grata dell’attenzione dell’uomo, che attraverso tale attenzione le conferisce dignità.
Lo stereotipo della “zitella” è il più chiaro di questi meccanismi. La zitella è colei che non si è “meritata” l’attenzione e la “protezione” di un uomo!
Ma questa “protezione” non è scontata, si può perdere in qualsiasi momento, basta dar segni di insofferenza e manifestare il desiderio di camminare da sola. La protezione-gabbia, diventa violenza cieca.

La “vittima” designata ha paura. 
Paura di perdere l’”amore” dell’uomo, paura di perdere lo status che le conferisce rispetto. Paura del mondo esterno che è vissuto come estraneo e sconosciuto, non alla sua portata.
Scrive l'antropologa, Paola Tabet:
Lo statuto e il valore più o meno coincidono nel trattamento che ne fanno le società. Un rapporto di potere? Se una persona – o meglio una classe intera di persone – non ha diritto alla propria sessualità, se fin dalla nascita è destinata a entrare in un rapporto dove dipenderà da un’altra persona e in cambio del mantenimento e di una posizione di legittimità sociale dovrà dare servizi sessuali, domestici e riproduttivi, quando questa persona per di più entrerà in questo rapporto in maniera non contrattuale, ossia per essere chiari, quando questi servizi non sono oggetto di un contratto che ne definisca la misura – essi dunque non sono assolutamente quantificati – quando per di più vi è, e vi è stato in passato, la possibilità, spesso messa in atto, di costringere per mezzo della violenza questa persona a dare questi servizi, penso si possa parlare senza alcuna esitazione di un rapporto di potere. Ma il rapporto di potere è alla base dell’intera organizzazione della società. E il rapporto di potere vale anche per le forme non legittime, anche se queste si possono manifestare come forme di resistenza.
Per il momento dobbiamo constatare che il servizio sessuale delle donne per gli uomini è un fatto ovvio e indiscutibile. ( "Rapporti sociali tra i sessi e rapporti di potere" - Paola Tabet, Libera Università delle donne)

BASTA


La violenza contro le donne nasce dalla paura. NOI NON ABBIAMO PAURA.
Noi vogliamo ribaltare il rapporto patriarcale, e dire a gran voce: NON ABBIAMO BISOGNO DI VOI!!!!!!!
Solo dalla liberazione dal bisogno, dalla scelta di liberazione, dalla consapevolezza della propria individualità e dall’AMORE per NOI STESSE, nasce la rivoluzione.
Il senso di colpa, cattolico, clericale e patriarcale, ci vuole eterne vittime, bisognose di aiuto. NO GRAZIE!!!!!!!

NON ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO, ma di rispetto, lo esigiamo, lo pretendiamo, ce lo prenderemo comunque, che vi piaccia o no.



Alcuni dati
La prima causa in Italia per la morte di giovani donne tra 16 e 44 anni è il femminicidio"...ad affermare ciò E. Rashida Manjoo, relatrice delle Nazioni Unite sulla violenza delle donne.

Gli assassini di donne sono da ricercarsi per lo più tra i famigliari:

·         mariti nel 36% dei casi
·         partner nel 18% dei casi
·         parenti nel 13% dei casi
·         figli nell’11% dei casi

Ogni 3 giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno, sia questo marito, fidanzato o convivente.
L’Eurispes riporta un rapporto allarmante: “il fenomeno è aumentato del 300% negli ultimi 10 anni”.
I dati pubblici non tengono presente delle donne scomparse e non ancora trovate, o di coloro di cui, benché rinvenuto il cadavere, non è stata possibile l’identificazione.


3 commenti:

  1. l'aiuto se sincero non è incompatibile col rispetto

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    1. lo stesso per l'amore, senza rispetto, senza sostegno reciproco, senza fiducia reciproca (che tiene a bada la gelosia che di per sè non è male e non è solo maschile) non si può per me parlare di amore vero

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  2. Prima causa di morte violenta in Italia. Prima causa di morte nel mondo.

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